Nell’ottavo secolo col declino dei Longobardi e l'arrivo dei Franchi, l'ampia zona di Custodia vide un rifiorire dell'economia con una rinascita di molti centri minori, fino a poco prima di scarso rilievo o assenti, come si rileva dai documenti delle istituzioni monacali del periodo (A. Morsoletto in Costozza p. 191). Lo smembramento dei terreni diede origine attraverso la costituzione di curtes  a una fonte di ricchezza, a un volano traente l'intera economia della zona e Secula e Costozza erano annoverate tra i beni dei conventi di San Salvatore di Brescia e dell’abbazia di Nonantola.

Dal confronto di atti provenienti dall'archivio delle abbazie del 771 con quelli del 883 (Codice Diplomatico Bresciano, busta 1, pergamena XVIII (B), 771 settembre 25, Brescia) si rileva un grande cambiamento avvenuto in un secolo con una maggior rappresentazione della componente coltivata in modo regolare, la comparsa di edifici di diversa tipologia e più qualificanti come case, massaricie, ovvero granai, magazzini, stalle, le aldiaricie, cioè edifici dedicati alla residenza delle serve (da aldia o serva, secondo il diritto longobardo), i familii dove stavano i servi maschi, res domnicultilae, la residenza del gestore e deposito delle attrezzature per le attività agricole, per la bonifica e per il riordino dei terreni. Un’area supramontem risulta ricoperta da foresta per indicare che il disboscamento fu attuato principalmente in piano ove le acque facevano meno paura che in passato e meno difficili da gestire (Manaresi C. 1955, I placiti del “regnum Italiae”, I, doc. 92 bis, pp.617-622). A suffragio della vitalità insediativa e lavorativa e dei progressi compiuti nell'intervallo di tempo, nella documentazione si nota la sorprendente presenza del termine molendini, indicativo della capacità e dell'uso di macinare il grano per mezzo di un mulino, macchina complessa che richiedeva una certa conoscenza tecnologica meccanica e una buona abilità costruttiva oltre a una possibile padronanza della complessa gestione dell'imbrigliamento delle acque. Il documento è la prima citazione della presenza di un mulino lungo le acque della zona. L'attenzione economica della curtis in questione è rivolta ad attività molitorie, sicuramente collegate con quelle pertinenti allo sfruttamento dei fiumi e degli acquitrini ancora presenti per gli spostamenti e per il commercio fluviale.
L'influenza di una nascente Venezia per l'entroterra raggiungibile attraverso i fiumi consentiva lo smercio di generi di difficile reperimento attuando spesso lo scambio o il baratto in mancanza di denaro. Il reperimento di macinato era un elemento fondamentale per procurarsi il "biscotto" derrata alimentare indispensabile di cui ogni natante diretto a Oriente aveva necessità di ampie scorte.
Regole per la gestione del traffico fluviale maggiore erano già presenti nel Capitolare di Liutprando, databile tra il 715 e il 730, ove sono elencati i porti del Po con le fortificazioni per il pagamento di dazi e il rispetto dei commerci: una visione in chiave economica e produttiva. La comunicazione e il commercio si svolgevano poco lungo le vie terrestri, ove era difficoltoso lo spostamento di derrate alimentari, mentre avevano un maggior impatto le vie fluviali più utili e vantaggiose, anche se vi era il rischio del naufragio.
Gli insediamenti lungo il corso fluviale non avevano una posizione casuale, ma erano scelti con cura analizzando ogni possibile risorsa naturale presente e, per occhi esperti e menti colte, l'acqua in movimento poteva offrire uno slancio tecnologico, rappresentato dallo sfruttamento dell'energia della corrente in alternativa ad animali o a uomini.
La segnalazione di un mulino nel documento del 883 è un'ulteriore testimonianza del miglioramento tecnologico avvenuto nel territorio vicentino in quel secolo e conferma l'elevata organizzazione del lavoro della curtis, associata alla buona qualità artigianale raggiunta.
Dato il luogo e l'epoca l'impianto doveva essere del tipo "mobile", in quanto le caratteristiche delle rive con arginazioni molto approssimative non avrebbero consentito l'uso di postazioni fisse al terreno, già poco consolidato, che avevano necessità di robusti canali, strutture in muratura e pesanti macine in grado di resistere alle esondazioni e di lavorare anche nelle situazioni più difficili. Per evitare la difficile padronanza dell'imbrigliamento delle acque, la soluzione era il mulino natante, denominato anche "fluviale", cioè galleggiante, spostabile lungo il fiume secondo le necessità per mezzo di funi trainate adeguatamente, adattabile alla variabilità del flusso e in grado di lavorare anche nei periodi di piena. Attualmente ne rimangono poche tracce, esemplari di archeologia industriale o ricostruzioni a fine turistico divulgativo. Sul loro funzionamento nel periodo augusteo vi sono le descrizioni di Vitruvio nella sua de Architectura, e si hanno riscontri di macchine idrauliche a Roma, in Spagna e in Galles, ma il loro uso non doveva essere così diffuso. All'inizio del quinto secolo era stato segnalato in Francia, a Roma sul Tevere nel 537, in occasione dell'assedio degli Ostrogoti. Sotto i Longobardi si volle tutelare la sua funzione a benefico della comunità e nell'editto di Rotari del 643, prima raccolta scritta di leggi longobarde, si nominano in modo specifico i mulini ad acqua. Anche se le esperienze del medioevo dovevano essere limitate, sorprende la loro citazione in un testo di diritto, ma sottintende che la loro presenza era discretamente diffusa e che quindi il fiume veniva utilizzato anche per muovere le pale dei mulini, dove la corrente lo consentiva. Da allora la macina ad acqua cominciò a diffondersi nell'Italia settentrionale.
In questa zona la loro comparsa viene associata alla presenza delle curtes monastiche, e alla diretta concessione da parte dell'autorità civile o religiosa, in quanto l'uso sfruttava il corso d’acqua, patrimonio asservito al potere pubblico.
Questo tipo di mulino era collocato verso il centro del corso del fiume per averne maggiore energia, ove una corrente adeguata era in grado di muovere le pale, ma non così distante, per poter essere ancorato in sicurezza alla riva, su una struttura intermedia che seguisse le fluttuazioni del fiume. Lungo il Bacchiglione nel XIV secolo il sistema di ancoraggio era ottenuto mediante delle ceste riempite di pietre (I mulini galleggianti della pianura padana, ricerca web dell'ing. G. Benvenuto). Il luogo pianeggiante, prescelto con cura, doveva essere comodo sia per portare la materia prima sia per prendere il macinato usando mezzi accessori ingombranti come carri trainati da buoi, o barconi adeguati.
Come conseguenza del loro posizionamento l'alveo del fiume subiva un'erosione con un allargamento detto "fiasco", che veniva a indicare ove erano collocati, deformazione rilevabile ancor oggi specialmente in vicinanza dei ponti ove la velocità della corrente a valle dei piloni di sostegno subiva un'accelerazione. La parte galleggiante era divisa in tre parti, una piccola e prossima alla riva e aveva l'uso di pontile mobile adattabile al livello dell'acqua, e da due successive piattaforme galleggianti, ben connesse tra loro su cui poggiava l'asse delle pale rotanti. Nel primo dei due barconi, di dimensioni maggiori, vi era il cuore del sistema per la macinazione dei semi e solitamente a forma di capanna protetta e caratterizzata dal tetto coperto da canne palustri. Conteneva gli ingranaggi per muovere la macina o le mole in pietra, solitamente molto pesanti e in materiale molto resistente, a forma di disco, forse il primo elemento da cui partiva l'intera costruzione poggiante su zatteroni, che in zona venivano chiamati anche sandoni (Wikipedia Mulini Natanti). Le ruote delle pale delle nostre località erano caratterizzate dall'ampia dimensione e dal povero pescaggio differenziandosi da quelle usate nei corsi più generosi e abbondanti ove erano più larghe giovandosi di uno spazio maggiore.
Dall’ottavo secolo in poi il mulino natante fu sempre più utilizzato fino a essere presente per ogni insediamento, anche se lo sviluppo maggiore lo ebbe a partire dal dodicesimo secolo e in stretta relazione con la nascita della figura del mugnaio, mestiere esclusivo dedicato alla macinazione dei cereali per la creazione delle più svariate farine.
Il territorio adeguatamente trattato e bonificato divenne più florido, favorevole per un probabile aumento demografico, che si sviluppò in tutta prossimità del fiume su terreni provenienti dal patrimonio regio longobardo e gestiti da monasteri.